Roma
«Ragazzi, mi sono informato con l’ambasciata, possiamo portare dieci chili a testa più un po’ di alcool».
«Ok. Dai, per trovare le bombolette del gas abbiamo buttato tutta la mattinata, avanti e indietro per San Giovanni, ora iniziamo a fare la spesa».
«Ah, l’unica cosa importante è che possiamo prendere solo i prodotti con il marchio della comunità europea sulla confezione e non possiamo assolutamente importare patate».
«Vabe’, non mi sembra grave. Tira fuori la lista fatta con Arnù».
«Eccola».
Da quattro anni ormai tentavamo di andare in Norvegia, due fallimenti e due rinunce in partenza, per mancanza di tempo o denaro.
Capo Nord era diventata una specie di ossessione per noi, una chimera irraggiungibile; per quanti sforzi avessimo potuto fare, nonostante il tempo smisurato impiegato per organizzare il viaggio, era sempre saltato fuori qualche problema insormontabile.
Quest’anno ero ancora più scettico del solito. Sarà stato perché avevamo iniziato a organizzarci solo a fine maggio, con circa tre mesi e mezzo di ritardo rispetto ai precedenti tentativi.
Dopo un’attenta valutazione dei costi, avevamo scelto l’opzione: partenza da Roma con un pulmino. L’ipotesi, però, di affittare il mezzo in Norvegia non era praticabile quindi ci eravamo informati in un’agenzia Europcar per un preventivo e l’eventuale disponibilità di un furgone a nove posti. Tre anni prima non ci eravamo riusciti, ma stavolta era andata meglio.
Il più era fatto, almeno dal punto di vista logistico-organizzativo.
«Pronto?».
«Trancio?».
«Dimmi, Goush».
«Abbiamo il mezzo».
«Davvero? C’è?».
«L’ho prenotato dieci minuti fa».
«Grande! Dai che questa volta è fatta».
«Porca vacca, sì che è fatta».
Così il 25 luglio mi ero visto con Arnù per fare la lista delle cose da comprare. Ancora non sapevamo delle limitazioni doganali, ma su una cosa il caro ingegnere scout era stato categorico: la pulizia, strano a dirsi.
«Goush, mi raccomando, ricordatevi il The, la carta igienica e tante salviettine umidificate. Tante. Visto che faremo i barboni per più di un mese, meglio essere preparati al peggio. Ci vediamo il 6 agosto a Oslo».
Strano effetto mi fece quella frase. Abituato a un più banale «Ci vediamo alle dieci e mezza a Trastevere».
Il 31 eravamo al discount Todis. Avevamo modificato la lista per rispettare i parametri doganali e, dopo dieci minuti di discussione, messo in minoranza da Vincent e Trancio, avevamo deciso di non prendere in considerazione la presenza del marchio CE.
Quando mi ripresentai al carrello con carta igienica e salviettine venni squadrato dai miei amici.
Vincent aveva un’espressione tra il corrucciato e il divertito.
«Goush, ma quanto caghi? Che dobbiamo farci con settantadue rotoli di carta igienica e settecentocinquanta salviettine profumate?».
«Io ho preso tre pacchi di carta e cinque di salviettine».
«Sì, ma guardalo il numero di rotoli per ogni pacco e quello delle salviettine».
Trancio era piegato in due dalle risate.
Diminuito il carico per l’igiene andammo alla cassa a pagare.
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